Interessante decisione della Corte di Cassazione sul tema del comportamento imprudente del lavoratore nell’eziologia dell’evento infortunistico; il Giudice di legittimità, dopo aver efficacemente ripercorso lo sviluppo storico – giuridico della rilevanza causale della condotta del lavoratore rispetto al verificarsi di un infortunio di cui egli stesso rimane vittima, giunge ad escludere che il mancato impiego dei d.p.i. fornitigli dal datore di lavoro esoneri quest’ultimo dalla posizione di garanzia (e dalla conseguente responsabilità) rispetto al bene salute e sicurezza.
La vicenda che ha costituito l’occasione per la Corte di affrontare la questione, riguardava un infortunio sul lavoro purtroppo conclusosi con il decesso del lavoratore che vi era rimasto vittima. Gli imputati, il primo coordinatore per l’esecuzione dei lavori e, il secondo, amministratore della società appaltante i lavori, erano stati riconosciuti responsabili della morte di un operaio (dipendente della società subappaltatrice dei lavori, il cui titolare era stato assolto nella fase di merito) il quale, salito insieme ad un collega sul tetto di un edificio per eseguire dei lavori, era caduto nel vuoto decedendo sul colpo.
Gli addebiti mossi ai due imputati erano consistiti nell’aver omesso di predisporre sistemi di protezione idonei ad evitare il rischio di cadute e nell’aver omesso di vigilare sull’uso delle cinture di sicurezza a disposizione dei lavoratori.
Ambedue gli imputati, oltre a contestare i profili delle singole responsabilità individuali, avevano sostenuto che il ponteggio era presente nel cantiere, ma era stato parzialmente smontato perché i lavori erano in fase di ultimazione, e che erano state impartite disposizioni agli operai di utilizzare i mezzi di protezione individuali, in particolare le cinture di sicurezza, ma gli stessi avevano trasgredito – come il lavoratore deceduto – a queste disposizioni.
La tesi sostenuta dalla difesa non ha convinto la Suprema Corte. Anzitutto, i giudici di Piazza Cavour hanno premesso che il dato non contestato era costituito dalla circostanza che i ponteggi, in precedenza sistemati per la protezione dei luoghi di lavoro in elevazione, erano stati rimossi e, in secondo luogo, che la giustificazione fornita dagli imputati (ovvero che i lavori fossero in fase di ultimazione) fosse irragionevole. Ed invero, poiché sul tetto dell’edificio dovevano essere eseguiti ancora alcuni lavori, v’era l’obbligo per gli imputati di evitare che le protezioni fisse fossero rimosse. Inoltre, aggiungono i giudici di legittimità, l’evento non poteva essere considerato riconducibile al solo mancato uso dello strumento di prevenzione individuale “comunque addebitabile a chi doveva far osservare l’obbligo ai lavoratori”, ma altresì alla scelta di smontare il mezzo di protezione fisso prima ancora che i lavori in altezza fossero terminati.
La regola cautelare violata, nel caso di specie, è stata ravvisata dalla Corte nel combinato disposto degli artt. 27 del d.P.R. n. 547 del 1995 (Protezione delle impalcature, delle passerelle e dei ripiani) e 16 del d.P.R. n. 164 del 1956 (Ponteggi ed opere provvisionali), ovvero di quelle norme previste per evitare le cadute dai posti di lavoro sopraelevati, oggi richiamate nel Capo II del Tit. IV del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81. Per quanto, poi, specificamente concerne il punto nodale della vicenda, ovvero la ravvisabilità di una esclusiva responsabilità penale del lavoratore nell’occorso, dovuta al mancato – e negligente – utilizzo della cintura di sicurezza nonostante fosse stato impartito l’ordine del loro impiego, a causa della rimozione dei ponteggi, la Corte Suprema perviene alla conclusione secondo cui tale condotta del lavoratore non esonera il datore di lavoro dalla sua posizione di garanzia e dai conseguenti obblighi di tutela dell’incolumità fisica dei lavoratori.
Sul punto, com’è noto, la questione è quella di riconoscere al comportamento imprudente del lavoratore la natura di “causa sopravenuta da sola sufficiente a determinare l’evento” che, ai sensi dell’art. 41, comma 2, c.p.p. determinando l’interruzione del nesso causale tra l’azione (o l’omissione) e l’evento, esclude che quest’ultimo possa essere ricondotto al fatto commissivo od omissivo, per quanto di interesse, posto in essere dal datore di lavoro. Il tema, assai delicato e battuto sia in dottrina che dalla giurisprudenza, sembra essere pervenuto ad un approdo sicuro: perché possa parlarsi di causa sopravenuta idonea ad escludere il rapporto di causalità (o la sua interruzione) si deve trattare di un percorso causale ricollegato all’azione (od omissione) dell’agente, ma completamente atipico, di carattere assolutamente anomalo ed eccezionale, ossia di un evento che non si verifica se non in casi del tutto imprevedibili a seguito della causa presupposta.
Facendo, quindi, coerente applicazione di questo principio al campo degli infortuni sul lavoro e, segnatamente, al comportamento del lavoratore, la Corte esclude che abbia dette caratteristiche di abnormità il comportamento, pur imprudente, del lavoratore che non esorbiti completamente dalle sue attribuzioni, nel segmento di lavoro attribuitogli, e mentre vengono utilizzati gli strumenti di lavoro ai quali è addetto.
Ed infatti, aggiunge il Supremo Collegio, anche ammesso che la condotta del lavoratore sia stata contraria ad una norma di prevenzione, ciò non sarebbe sufficiente a ritenere la sua condotta connotata da abnormità, essendo finalizzata l’osservanza delle misure di prevenzione anche a prevenire errori e violazioni da parte del lavoratore.
In precedenza, sullo stesso argomento, si è considerato abnorme “il comportamento imprudente del lavoratore che sia consistito in qualcosa radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro” (Cass. pen., sez. IV, n. 7267 del 23/02/2010, I. e altri, in Ced Cass. 246695), precisandosi peraltro, in ogni caso, che “nell'ipotesi di infortunio sul lavoro originato dall'assenza o inidoneità delle misure di prevenzione, nessuna efficacia causale, per escludere la responsabilità del datore di lavoro, può essere attribuita al comportamento del lavoratore infortunato, che abbia dato occasione all'evento, quando questo sia da ricondurre, comunque, alla mancanza o insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio di siffatto comportamento” (Cass. pen., Sez. IV, n. 38877 del 21/10/2005, P.C. in proc. F., in Ced Cass. 232421).
Detti principi di diritto sono stato, quindi, ritenuti applicabile al caso in esame. Non poteva, infatti, considerarsi abnorme la condotta dell’operaio deceduto, in quanto è “del tutto prevedibile, e avviene purtroppo frequentemente, che un lavoratore non utilizzi i mezzi di protezione individuale per le più svariate ragioni”, sicchè sussiste per il datore di lavoro l’obbligo di osservare le cautele ulteriori che possono consentire di ovviare alle disattenzioni e anche alle volontarie omissioni del lavoratore imprudente.
Cassazione penale, sez. IV, sentenza 22 novembre 2010, n. 41051 di Alessio Scarcella
La vicenda che ha costituito l’occasione per la Corte di affrontare la questione, riguardava un infortunio sul lavoro purtroppo conclusosi con il decesso del lavoratore che vi era rimasto vittima. Gli imputati, il primo coordinatore per l’esecuzione dei lavori e, il secondo, amministratore della società appaltante i lavori, erano stati riconosciuti responsabili della morte di un operaio (dipendente della società subappaltatrice dei lavori, il cui titolare era stato assolto nella fase di merito) il quale, salito insieme ad un collega sul tetto di un edificio per eseguire dei lavori, era caduto nel vuoto decedendo sul colpo.
Gli addebiti mossi ai due imputati erano consistiti nell’aver omesso di predisporre sistemi di protezione idonei ad evitare il rischio di cadute e nell’aver omesso di vigilare sull’uso delle cinture di sicurezza a disposizione dei lavoratori.
Ambedue gli imputati, oltre a contestare i profili delle singole responsabilità individuali, avevano sostenuto che il ponteggio era presente nel cantiere, ma era stato parzialmente smontato perché i lavori erano in fase di ultimazione, e che erano state impartite disposizioni agli operai di utilizzare i mezzi di protezione individuali, in particolare le cinture di sicurezza, ma gli stessi avevano trasgredito – come il lavoratore deceduto – a queste disposizioni.
La decisione della Cassazione
La tesi sostenuta dalla difesa non ha convinto la Suprema Corte. Anzitutto, i giudici di Piazza Cavour hanno premesso che il dato non contestato era costituito dalla circostanza che i ponteggi, in precedenza sistemati per la protezione dei luoghi di lavoro in elevazione, erano stati rimossi e, in secondo luogo, che la giustificazione fornita dagli imputati (ovvero che i lavori fossero in fase di ultimazione) fosse irragionevole. Ed invero, poiché sul tetto dell’edificio dovevano essere eseguiti ancora alcuni lavori, v’era l’obbligo per gli imputati di evitare che le protezioni fisse fossero rimosse. Inoltre, aggiungono i giudici di legittimità, l’evento non poteva essere considerato riconducibile al solo mancato uso dello strumento di prevenzione individuale “comunque addebitabile a chi doveva far osservare l’obbligo ai lavoratori”, ma altresì alla scelta di smontare il mezzo di protezione fisso prima ancora che i lavori in altezza fossero terminati.
La regola cautelare violata, nel caso di specie, è stata ravvisata dalla Corte nel combinato disposto degli artt. 27 del d.P.R. n. 547 del 1995 (Protezione delle impalcature, delle passerelle e dei ripiani) e 16 del d.P.R. n. 164 del 1956 (Ponteggi ed opere provvisionali), ovvero di quelle norme previste per evitare le cadute dai posti di lavoro sopraelevati, oggi richiamate nel Capo II del Tit. IV del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81. Per quanto, poi, specificamente concerne il punto nodale della vicenda, ovvero la ravvisabilità di una esclusiva responsabilità penale del lavoratore nell’occorso, dovuta al mancato – e negligente – utilizzo della cintura di sicurezza nonostante fosse stato impartito l’ordine del loro impiego, a causa della rimozione dei ponteggi, la Corte Suprema perviene alla conclusione secondo cui tale condotta del lavoratore non esonera il datore di lavoro dalla sua posizione di garanzia e dai conseguenti obblighi di tutela dell’incolumità fisica dei lavoratori.
Sul punto, com’è noto, la questione è quella di riconoscere al comportamento imprudente del lavoratore la natura di “causa sopravenuta da sola sufficiente a determinare l’evento” che, ai sensi dell’art. 41, comma 2, c.p.p. determinando l’interruzione del nesso causale tra l’azione (o l’omissione) e l’evento, esclude che quest’ultimo possa essere ricondotto al fatto commissivo od omissivo, per quanto di interesse, posto in essere dal datore di lavoro. Il tema, assai delicato e battuto sia in dottrina che dalla giurisprudenza, sembra essere pervenuto ad un approdo sicuro: perché possa parlarsi di causa sopravenuta idonea ad escludere il rapporto di causalità (o la sua interruzione) si deve trattare di un percorso causale ricollegato all’azione (od omissione) dell’agente, ma completamente atipico, di carattere assolutamente anomalo ed eccezionale, ossia di un evento che non si verifica se non in casi del tutto imprevedibili a seguito della causa presupposta.
Facendo, quindi, coerente applicazione di questo principio al campo degli infortuni sul lavoro e, segnatamente, al comportamento del lavoratore, la Corte esclude che abbia dette caratteristiche di abnormità il comportamento, pur imprudente, del lavoratore che non esorbiti completamente dalle sue attribuzioni, nel segmento di lavoro attribuitogli, e mentre vengono utilizzati gli strumenti di lavoro ai quali è addetto.
Ed infatti, aggiunge il Supremo Collegio, anche ammesso che la condotta del lavoratore sia stata contraria ad una norma di prevenzione, ciò non sarebbe sufficiente a ritenere la sua condotta connotata da abnormità, essendo finalizzata l’osservanza delle misure di prevenzione anche a prevenire errori e violazioni da parte del lavoratore.
In precedenza, sullo stesso argomento, si è considerato abnorme “il comportamento imprudente del lavoratore che sia consistito in qualcosa radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro” (Cass. pen., sez. IV, n. 7267 del 23/02/2010, I. e altri, in Ced Cass. 246695), precisandosi peraltro, in ogni caso, che “nell'ipotesi di infortunio sul lavoro originato dall'assenza o inidoneità delle misure di prevenzione, nessuna efficacia causale, per escludere la responsabilità del datore di lavoro, può essere attribuita al comportamento del lavoratore infortunato, che abbia dato occasione all'evento, quando questo sia da ricondurre, comunque, alla mancanza o insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio di siffatto comportamento” (Cass. pen., Sez. IV, n. 38877 del 21/10/2005, P.C. in proc. F., in Ced Cass. 232421).
Detti principi di diritto sono stato, quindi, ritenuti applicabile al caso in esame. Non poteva, infatti, considerarsi abnorme la condotta dell’operaio deceduto, in quanto è “del tutto prevedibile, e avviene purtroppo frequentemente, che un lavoratore non utilizzi i mezzi di protezione individuale per le più svariate ragioni”, sicchè sussiste per il datore di lavoro l’obbligo di osservare le cautele ulteriori che possono consentire di ovviare alle disattenzioni e anche alle volontarie omissioni del lavoratore imprudente.
Cassazione penale, sez. IV, sentenza 22 novembre 2010, n. 41051 di Alessio Scarcella
tratto da: http://www.studiocassone.it