giovedì 17 maggio 2012
Uso dei DPI: razionale o emotivo?
Non c'è dubbio che, per quanto riguarda l’aspetto razionale della personalità,
qualunque soggetto dotato di intelligenza di livello medio è in grado di comprendere l’utilità dei mezzi di protezione: di conseguenza il loro uso dovrebbe essere spontaneo e sistematico.
Purtroppo questo non avviene e sono numerosi i casi in cui alla comprensione
“razionale” fa seguito il rifiuto “emotivo” a utilizzare il mezzo: infatti, non è inusuale constatare che molti lavoratori sanno identificare molto bene
quando il DPI è necessario, ciononostante in quelle stesse situazioni non lo
utilizzano. L’esperienza insegna che siamo in presenza di un meccanismo più
subdolo, mediante il quale l’attività intellettiva e raziocinante viene spesso
usata per mettere in atto un meccanismo di difesa, tecnicamente definito
di “razionalizzazione”, che trae origini in zone profonde della personalità e altro
non è che la giustificazione razionale di un rifiuto a proteggersi con uno specifico dispositivo.
Atteggiamenti di questo tipo si manifestano, ad esempio, nel rifiuto a indossare un casco protettivo, spiegandone il mancato utilizzo con un ragionamento in apparenza logico, che fa perno sulla giustificazione che in
quella determinata situazione il dispositivo è inutile (ad esempio perché l’oggetto che può cadere è molto grande o pesante). In questo modo, tirando
pretestuosamente in ballo eventi non adatti alle caratteristiche protettive del
dispositivo - ma anche poco probabili e, comunque, dipendenti dalla funzionalità di altri dispositivi e attrezzature - il soggetto nega l’utilità del dispositivo anche per quegli eventi per i quali esso è stato previsto, ossia la caduta di piccoli oggetti, peraltro assai più probabile rispetto alla caduta dell’intero carico.
Conseguenza di questo sarà l’aumentata esposizione al rischio minore, più
probabile, in virtù di un’asserita ma sfortunatamente “reale” inutilità della protezione in una situazione assolutamente irreale per l’uso del mezzo e anche palesemente più aleatoria e remota.
Se si scava più in profondità, si scopre che dietro questo atteggiamento
di rifiuto vi sono ben altre ragioni, di natura affettiva ed emotiva, come il timore di essere giudicato negativamente dai capi e dal gruppo sociale di appartenenza, un abbassamento del proprio livello di autostima, ma anche l’ansia sollecitata dal segnale di pericolo, implicitamente rappresentato dal dispositivo stesso.
Se è molto facile e sbrigativo rimandare il mancato uso dei DPI a fattori
psicologici, occorre rimarcare che qualunque dispositivo di protezione, per essere accettato e usato, richiede che:
• la sua progettazione e realizzazione sia effettuata sulla base di criteri rigorosamente ergonomici
• la sua introduzione nel processo lavorativo sia limitata alle effettive necessità e, soprattutto, che sia studiata nell’ambito della progettazione del
ciclo lavorativo
• l’uso del DPI sia organizzato e gestito sulla base di idonee procedure
• la necessità dell’uso del DPI emerga chiaramente sulla base di associazioni
facilmente evidenziabili e alla portata anche dei lavoratori meno acculturati
• il lavoratore sia stato adeguatamente coinvolto e motivato sul suo impiego
mediante una idonea attività di formazione.
Notevole incidenza ha il rapporto tra fatica e ergonomia del DPI.
Naturalmente, è assai diverso il caso in cui all’origine del rifiuto del mezzo
vi è una sua sostanziale inidoneità oppure un conflitto evidente tra rischi.
Quest’ultimo è spesso presente nell’uso di alcuni dispositivi di protezione
quali le scarpe antinfortunistiche con suole e puntale rigidi in acciaio, oppure
più semplicemente negli occhiali antischegge.
Si può verificare che un uso prolungato di una scarpa antinfortunistica
di questo tipo comporti problemi di essudazione del piede e che, alla
lunga, provochi surriscaldamento e lesioni molto più immediate e presenti rispetto al potenziale danno dal quale essa deve proteggere. Analogamente,
un paio di occhiali, una visiera o una maschera che si appannano facilmente,
creano una situazione immediata di maggiore rischio, rispetto al quale
il rischio di essere colpiti da una scheggia appare remoto. Sono questi i
casi in cui il DPI presenta dei difetti, conseguenza di un mancanza di criteri
ergonomici nella sua progettazione e costruzione.
Altro motivo che può indurre al non uso di un dispositivo di protezione
è legato alla fatica associata all’uso dello stesso.
A volte si tratta di fatica fisica, ma il più delle volte si tratta di una
fatica di tipo psicologico, ossia di un disagio interiore profondo, legato
più alla noia, al fastidio, all’assenza di motivazione all’uso, piuttosto che all’usura fisica e muscolare.