lunedì 29 novembre 2010
3M TM 9922 FFP2 Respiratore per polveri, ozono e vapori organici
Il respiratore 3M 9922 rappresenta la migliore soluzione per la protezione delle vie respiratorie in caso presenza di polveri ed odori di vapori organici come solventi, sgrassanti e resine.
Il respiratore 3M 9922 è dotato di uno strato di carbone attivo che protegge
l’operatore dall’inalazione di odori fastidiosi. Aggiunge alla protezione da polveri classe P2 anche una protezione in presenza di Ozono.
Materiale 3M™ Advanced Electret Filter
■ Carica elettrostatica utile a filtrare le particelle più piccole che
il tessuto filtrante con proprietà meccanica non riesce a bloccare
■ Efficienza filtrante unita ad una bassa resistenza respiratoria
■ Efficienza filtrante prolungata nel tempo Valvola 3M™ Cool Flow
■ Efficace riduzione dell’accumulo di calore e umidità nel facciale per garantire freschezza e comfort
■ Elimina l’aria respirata e riduce al minimo il rischio di appannamento di occhiali ed altri dispositivi di protezione degli occhi
■ Elastici con codice colore
■ ll codice colore indica la classe di protezione (azzurro = P2)
■ Strato di carbone attivo
■ Protegge dai vapori organici in basse concentrazioni (inferiori al TLV)
■ Protegge da ozono fino a 10 volte il TLV
Il respiratore mantiene il livello di protezione anche a seguito del test prolungato di esposizione all’aerosol di prova.
Il test di intasamento con olio di paraffina espone il respiratore ad un aerosol per un lungo periodo. Il test è prolungato per meglio verificare le prestazioni durante un uso continuo ed è un requisito addizionale basato su quanto previsto dalla norma EN 143
Scarpe o Calzature ANTINFORTUNISTICHE: è obbligatorio indossarle?
Quando è obbligatorio indossare le scarpe antinfortunistiche
Per comprendere integralmente gli obblighi del datore di lavoro in materia di dispositivi di protezione individuale (DPI) è necessario partire dal ruolo centrale che la giurisprudenza di legittimità, in modo assolutamente uniforme, affida all'art.2087 c.c..
Con l'osservanza della normativa specifica, però, non si esauriscono gli obblighi di sicurezza del datore di lavoro in quanto, rappresentando l'art.2087 c.c. norma di chiusura del sistema antinfortunistico, il datore di lavoro è tenuto ad adottare anche quelle misure che, pur non previste dalla legge come obbligatorie, dovessero rendersi necessarie in base alla particolarità del tipo di lavoro svolto.
E' da sottolineare come, nella formulazione scelta dal legislatore dell'art.2087 c.c., le misure necessarie alla tutela dell'integrità fisica del lavoratore debbano essere adottate «in base alla esperienza»: Tale formulazione rimanda logicamente al concetto di «prevedibilità del rischio»: "In materia di eventi colposi per violazione di regole antinfortunistiche, allorchè siano contestate l'imprudenza, la negligenza e l'imperizia, il criterio per l'individuazione della colpa è data dal ricorso al concetto di prevedibilità, ossia il principio che, fuori dell'ipotesi di inosservanza di specifiche prescrizioni normative, possono ascriversi a colpa solo quegli eventi che, in relazione alle particolari circostanze del caso concreto, siano prevedibili dal soggetto al momento della realizzazione della sua condotta.
Ne consegue che non può pretendersi l'adozione di accorgimenti per fronteggiare evenienze infortunistiche assolutamente impensabili ed eccezionali in base alla comune esperienza" (Cass. Pen. sez. IV, 8.6.87 n.7130). Nello stesso art.384 del DPR 547/55, del resto, il legislatore optava per una formulazione per così dire «aperta», senza indicare «tutti» i lavori in cui le scarpe antinfortunistiche sono obbligatorie: "Per la protezione dei piedi nelle lavorazioni in cui esistono specifici pericoli di ustioni, di causticazione, di punture o di schiacciamento, i lavoratori devono essere provvisti di calzature resistenti ed adatte alla particolare natura del rischio. Tali calzature devono potersi sfilare rapidamente".
Dunque, nei casi in cui non esista un obbligo di comportamento imposto tassativamente dalla legge - in quanto già valutato come pericoloso dal legislatore - sarà il datore di lavoro a valutare, sotto propria responsabilità, se tale rischio appaia «prevedibile» o meno: di conseguenza, in caso di infortunio dovuto a mancanza di scarpe antinfortunistiche, il datore di lavoro dovrà cercare di dimostrare al giudice come tale rischio di schiacciamento non fosse ragionevolmente prevedibile.
venerdì 19 novembre 2010
Lavoro: Comportamenti Vessatori e Demansionamento
L’indagine Istat per rilevare il disagio si è basata su due particolari esperienze: il comportamento vessatorio e il demansionamento.
Il comportamento vessatorio è caratterizzato da “un inequivocabile intento persecutorio o discriminatorio rivolto ad un soggetto, ripetuto nel tempo, con una frequenza superiore o uguale a più volte al mese e di durata sufficientemente lunga (superiore almeno ai sei mesi)”. Sono comunque considerate “vittime” coloro che “hanno dichiarato di aver subito azioni vessatorie con una frequenza giornaliera o plurisettimanale anche se per una durata inferiore ai sei mesi”.
In particolare nella definizione di disagio lavorativo “sono state considerate cinque differenti dimensioni inerenti:
- gli attacchi alla libertà di espressione e alla comunicazione;
- gli attacchi alle relazioni sociali, incluso l’isolamento sistematico;
- gli attacchi alla situazione professionale;
- gli attacchi all’immagine sociale e alla reputazione;
- gli attacchi alla salute”.
Il demansionamento (o la privazione totale di compiti) si verifica quando, ad esempio, “la vittima è privata all’improvviso del personale che aveva sempre gestito e di ruoli per lei importanti, come quelli di gestione o di coordinamento di attività, quando viene spostata a fare cose non di sua competenza o, addirittura, privata di qualsiasi compito svolto in precedenza”. E si caratterizza “per il fatto di determinare un effetto duraturo nel tempo”.
RISULTATI
Degli oltre 29 milioni di lavoratori che nel corso della loro vita lavorativa hanno avuto superiori o colleghi o persone a loro sottoposte, “il 9 per cento (2milioni 633mila) dichiara di aver sofferto, nel corso della vita, vessazioni o demansionamento o privazione dei compiti”.
In particolare “il 6,7 per cento ha sperimentato una tale situazione negli ultimi tre anni e il 4,3 per cento negli ultimi 12 mesi. A subire di più sono le donne, con il 9,9 per cento nel corso della vita”.
Invece un numero maggiore di lavoratori (7milioni 948mila) ha “vissuto situazioni di disagio caratterizzate da frequenza e durata contenuta. Preme, tuttavia, sottolineare che una parte di questi lavoratori (198mila) si possono definire “altamente a rischio”, dal momento che sono stati oggetto di comportamenti vessatori più volte al mese, ma per una durata inferiore a sei mesi”.
In particolare sono 2milioni 91mila “i lavoratori (7,2 per cento) che hanno dichiarato di aver subito vessazioni in ambito lavorativo nel corso della vita”.
Riguardo agli ultimi tre anni “i comportamenti persecutori e discriminatori riguardano, nel 91,0 per cento dei casi, la sfera della comunicazione, nel 63,9 per cento la qualità della situazione professionale, nel 64,1 per cento l’immagine sociale, nel 50,4 per cento le relazioni sociali e nel 3,9 per cento dei casi aggressioni vere e proprie”.
Andando più nel dettaglio le vessazioni “riguardano nel 79,9 per cento dei casi le critiche senza motivo e l’essere incolpati di qualsiasi problema o errore e nel 62,7 per cento le scenate e/o sfuriate”. Inoltre sono “tra il 34 e il 38 per cento le persone messe a lavorare in condizioni estremamente disagevoli o senza gli strumenti necessari per svolgere il proprio lavoro, calunniate, derise e oggetto di scherzi pesanti”.
Nel 30,3 per cento dei casi, invece, “è stato loro impedito di ottenere incentivi, promozioni o riconoscimenti assegnati ad altri colleghi, nel 27-29 per cento esse sono state escluse volutamente da occasioni di incontro, cene sociali, riunioni di lavoro e non viene più rivolta loro la parola. Infine, nel 20,7 per cento viene loro impedito di incontrare o parlare con i colleghi con cui si trovano bene, nel 18,1 per cento costoro sono attaccati rispetto alle loro opinioni politiche e religiose, nel 12,1 per cento subiscono controlli o sanzioni disciplinari, nel 7,9 per cento offerte di tipo sessuale e nel 3,5 per cento aggressioni”.
L’analisi per genere mostra poi alcune significative differenze: le “lavoratrici subiscono più di frequente, rispetto ai propri colleghi maschi, le scenate, le critiche senza motivo, vengono più spesso umiliate, non si rivolge loro la parola e ricevono più offerte o offese di tipo sessuale”.
Continuando con i dati si rileva che “il 3,3 per cento dei lavoratori (961mila persone) ha dichiarato di essere stata vittima di demansionamento e privazione dei compiti nel corso della vita lavorativa. In particolare, il 2,6 per cento (560mila) ha dichiarato di essere stato demansionato o privato di compiti negli ultimi tre anni e l’1,5 per cento negli ultimi 12 mesi (306mila)”. E ci sono anche lavoratori che si collocano nella situazione peggiore, vittime sia di comportamenti persecutori da parte dei loro superiori o colleghi o sottoposti, sia di demansionamento.
Qualche dato sulle cause di vessazioni e demansionamento indicate dai lavoratori:
- “la causa più frequentemente citata risulta il rinnovo aziendale e l’avvento di una nuova dirigenza (22,3 per cento), seguita dallo stile autoritario del capo (19,3 per cento) e dalla gelosia per il lavoro da parte dei colleghi (15,3 per cento)”;
- altri lavoratori citano “la riduzione del personale (10,7 per cento), l’alta competitività (9,2 per cento), la diversità nel modo di intendere il lavoro (7,6 per cento), la precarietà della situazione lavorativa (7,3 per cento) e il fatto di non essere allineati con la politica aziendale (7,1 per cento)”.
Infine le conseguenze per le vittime.
Se il 31,1 per cento dichiara di non aver avuto conseguenze, tra chi le ha avute “emergono la rabbia e il nervosismo, gli attacchi d’ ansia e la depressione, le perdite economiche e il disinvestimento sul lavoro”.
In particolare “la perdita economica individuale è elevata e viene indicata dal 27,4 per cento delle vittime”. Inoltre “più del 40 per cento non investe più sul lavoro, è demotivata, vuole andarsene”.
Riguardo agli esiti di questi disagi “solo in un quarto dei casi gli episodi si sono conclusi senza interventi particolari, mentre il 28,3 per cento dei lavoratori viene ancora vittimizzato (31,1 per cento di chi subisce vessazioni). Nel 16,1 per cento dei casi la vittima si è dimessa (21,5 per cento per i demansionati o privati dei compiti), nel 5,2 per cento è stata licenziata (7,2 per cento per i demansionati) e al 2,2 per cento delle vittime non è stato rinnovato il contratto”. E nell’8 per cento circa dei casi c’è stato “un trasferimento o una richiesta di trasferimento ad un altro ufficio”.
Istat, “ Il disagio nelle relazioni lavorative – Anni 2008-2009” (formato PDF, 161 kB).
Rischio di Contagio: KIT di Emergenza contro le INFEZIONI
KIT di Emergenza contro le INFEZIONI
Nel caso in cui un operatore venga incaricato di un intervento a rischio di contagio biologico (recupero di carcasse di animali infetti, intervento in aree potenzialmente a rischio, come un campo nomadi, sbarco di clandestini, contaminazione NBC, aree industriali rischiose, ritrovamenti di rifiuti industriali, ect..) può contare su un Kit protettivo contro le INFEZIONI appositamente studiato. Componente centrale dei Kit contro le INFEZIONI è la tuta protettiva DuPont TYVEK® Classic Plus, Tipo 4B, con cuciture ricoperte e sovrascarpe o calzari della stessa linea .
Il tessuto TYVEK® o equivalente (es. SPRAYGARD), materiale conforme ai requisiti della Norma Europea EN 14126, è in grado di offrire una barriera protettiva contro gli agenti biologici e/o patogeni.
Oltre alla tuta TYVEK® Classic Plus, ogni Kit protettivo anti-infezione comprende anche i seguenti dispositivi di protezione personale: (DPI):
Il tessuto TYVEK® o equivalente (es. SPRAYGARD), materiale conforme ai requisiti della Norma Europea EN 14126, è in grado di offrire una barriera protettiva contro gli agenti biologici e/o patogeni.
Oltre alla tuta TYVEK® Classic Plus, ogni Kit protettivo anti-infezione comprende anche i seguenti dispositivi di protezione personale: (DPI):
- un facciale filtrante monouso (classe filtro almeno FFP3D valvola ad alta efficienza),
- oppure meglio è un respiratore combinato per gas e vapori, oltre che per polveri, (classe ABEK P3);
- occhiali protettivi antiappannanti (indossabili anche su occhiali da vista);
- alcune paia di guanti in nitrile pesante,
- oppure alcune paia di guanti in pvc o nitrile medio-pesante per lavori gravosi;
- spray disinfettante;
- due sacchetti muniti di fascette per lo smaltimento dei rifiuti.
giovedì 11 novembre 2010
Quanti ESTINTORI vanno collocati? E dove?
Quanti ESTINTORI vanno collocati in rapporto alla superficie e al tipo di rischio?
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CRITERI DI SCELTA DEGLI ESTINTORI
Per la scelta ci si può riferire al D.M. 10-03-1998 ed anche alla norma NFPA secondo la quale ciascun tipo di estintore, in funzione delle specifiche caratteristiche, viene classificato con una sigla costituita da un numero e da una lettera. Come già detto il numero dà la dimensione dell’incendio che quell’estintore è in grado di spegnere, mentre la lettera indica la classe dell’incendio.
Nelle norme viene codificata inoltre la potenzialità dell’estintore e vengono definite anche le massime aree proteggibili da un singolo apparecchio, come già riportato indicativamente nella tabella. Per quanto sopra, una volta stabilita la classe dell’incendio e quindi definito il tipo o i tipi adatti, bisogna passare a considerare le caratteristiche del locale da proteggere ed in particolare la velocità di propagazione del fuoco, l’intensità di calore sviluppabile, i fumi prodotti dai materiali presenti, l’area da proteggere, la distanza da percorrere per raggiungere l’estintore ecc., allo scopo di stabilire il livello di pericolo dell’area interessata secondo la seguente classificazione:
A) LUOGHI DI LAVORO A RISCHIO DI INCENDIO BASSO
Si intendono a rischio di incendio basso i luoghi di lavoro o parte di essi, in cui sono presenti sostanze a basso tasso di infiammabilità, le condizioni locali e di esercizio offrono scarse possibilità di sviluppo di principi di incendio ed in cui, in caso di incendio, la probabilità di propagazione dello stesso è da ritenersi limitata.
B) LUOGHI DI LAVORO A RISCHIO DI INCENDIO MEDIO
Si intendono a rischio di incendio medio i luoghi di lavoro o parte di essi in cui sono presenti sostanze infiammabili e/o condizioni locali e/o di esercizio che possono favorire lo sviluppo di incendi, ma nei quali, in caso di incendio, la probabilità di propagazione dello stesso è da ritenersi limitata. Si riportano in allegato IX, esempi di luoghi di lavoro a rischio di incendio medio.
C) LUOGHI DI LAVORO A RISCHIO DI INCENDIO ELEVATO
Si intendono a rischio di incendio elevato i luoghi di lavoro o parte di essi, in cui:
per presenza di sostanze altamente infiammabilità e/o per le condizioni locali e/o di esercizio sussistono notevoli probabilità di sviluppo di incendi e nella fase iniziale sussistono forti probabilità di propagazione delle fiamme, ovvero non è possibile la classificazione come luogo a rischio di incendio basso o medio.
Tali luoghi comprendono:
• aree dove i processi lavorativi comportano l’utilizzo di sostanze altamente infiammabili (p.e. impianti di verniciatura), o di fiamme libere, o la produzione di notevole calore in presenza di materiali combustibili;
• aree dove c’è deposito o manipolazione di sostanze chimiche che possono, in determinate circostanze, produrre reazioni esotermiche, emanare gas o vapori infiammabili, o reagire con altre sostanze combustibili;
• aree dove vengono depositate o manipolate sostanze esplosive o altamente infiammabili;
• aree dove c’è una notevole quantità di materiali combustibili che sono facilmente incendiabili;
• edifici interamente realizzati con strutture in legno o di grandi dimensioni;
• ambienti dove c’è grande presenza di persone dalle capacità motorie limitate.
Tipi Principali di ESTINTORI
1° Estintori a Polvere
Sono disponibili in una gamma vastissima di capacità da 1 a 250 kg., ma i più diffusi sono quelli da kg. 6 (negli impianti industriali è prassi considerare capacità di 6, 12, 50, 100 e 250 kg.).
Fino a 12 kg. di carica l’estintore è considerato portatile, per le capacità superiori è considerato mobile e conseguentemente è dotato di ruote per lo spostamento; l’estintore da 250 kg. infine, è normalmente allestito su un carrellato adatto ad essere trainato da un veicolo. Si distinguono estintori a polvere ABC o polivalente (qualora ne venga garantita la dielettricità possono anche essere utilizzati su fuochi di classe E, ma possono compromettere i materiali) per l’intervento su fuochi A, B e C ed estintori a polvere BC potenziata per l’intervento su fuochi prevalentemente B e C. Nella selezione del tipo di polvere è importante ricordare che le polveri a base di monofosfato ammonico risultano aggressive nei confronti del rame e delle sue leghe; pertanto i materiali degli estintori destinati a operare con tali tipi di polvere dovranno essere opportunamente selezionati. La polvere è contenuta in un serbatoio di capacità adeguata e per l’espulsione viene pressurizzata con gas ed erogata attraverso organi di erogazione di forma e dimensione compatibili con l’uso dell’estintore stesso. Gli estintori fino a 12 kg. possono essere: pressurizzati o a bombolina interna.
2° Estintori ad Anidride Carbonica CO2 o Biossido di Carbonio
Sono estintori di larghissima diffusione dovuta alla semplicità d’uso ed all’universalità d’impiego. Sono disponibili in una vasta gamma di taglie da 2 a 60 kg. di carica. L’estintore a CO2 è costituito da una bombola contenente anidride carbonica compressa e liquefatta; sulla sommità della bombola è montata una valvola a spillo che, comandata schiacciando a mano la leva, lascerà uscire, mediante un pescante, il getto di CO2 liquido, che sarà diretto sul fuoco a mezzo di un diffusore a cono. Gli estintori a CO2 hanno un grado di riempimento del 75% che deve essere ridotto al 67% nel caso di impiego in climi molto caldi o dove gli estintori possono essere esposti a forte irraggiamento.
Il rapido passaggio dell’anidride carbonica dallo stato liquido a quello gassoso produce un notevole abbassamento della temperatura che può raggiungere i -86%°C; il CO2 uscendo,si condensa in fiocchi bianchi (che evaporano poi rapidamente da cui deriva la denominazione spesso usata di “Estintori a neve o a ghiaccio”. Sarà perciò raccomandabile, durante l’azionamento dell’estintore, proteggere le mani dai rischi di congelamento. Questo raffreddamento, combinato all’azione di soffocamento conseguente allo spostamento dell’aria da parte del gas inerte CO2 , più pesante (peso specifico 1,53), provoca lo spegnimento del focolaio. Gli estintori a CO2 sono comunque dotati di una valvola di sicurezza con disco rottura. Si ricorda che, in piccoli ambienti chiusi, elevate percentuali di CO2 riducono il contenuto di ossigeno a concentrazioni che non consentono la sopravvivenza delle persone. Oltre che alla verifica semestrale, la bombola del CO2 se di capacità superiore a 5 lt., deve essere sottoposta a collaudo ogni 10 anni.
Posizionamento estintore
Il numero e la capacità estinguente degli estintori portatili devono rispondere ai valori indicati nella tabella 1 dell’allegato 5 del DM 10-3-98; tale decreto inoltre prescrive che in ogni caso il percorso per raggiungere l'estintore non può superare i 30 metri.
Gli estintori portatili devono essere posizionati preferibilmente lungo le vie di uscita ed in prossimità delle stesse, senza ostacolarne l’accesso. La normativa impone che tutti gli estintori siano fissati a parete ad un’altezza di 1.10 -1,5 mt. devono essere ben visibili, facilmente accessibili e segnalati, tramite cartelli conformi a quanto prescritto dalla vigente normativa.
In generale per la distribuzione nei locali devono essere tenute in considerazione
Il numero e la capacità estinguente degli estintori portatili devono rispondere ai valori indicati nella tabella 1 dell’allegato 5 del DM 10-3-98; tale decreto inoltre prescrive che in ogni caso il percorso per raggiungere l'estintore non può superare i 30 metri.
Gli estintori portatili devono essere posizionati preferibilmente lungo le vie di uscita ed in prossimità delle stesse, senza ostacolarne l’accesso. La normativa impone che tutti gli estintori siano fissati a parete ad un’altezza di 1.10 -1,5 mt. devono essere ben visibili, facilmente accessibili e segnalati, tramite cartelli conformi a quanto prescritto dalla vigente normativa.
In generale per la distribuzione nei locali devono essere tenute in considerazione
- la distribuzione su diversi piani, la superficie,
- il percorso necessario a raggiungere l’estintore (e quindi non solo i mq. in pianta ma anche la distribuzione geometrica dei locali),
- le diverse tipologie di classe di incendio ipotizzabili nei locali (che possono portare alla necessità di diversificare ed aumentare il numero di estintori).
- In caso di rischi specifici d’incendio di zone limitate o apparecchiature bisogna infatti prevedere una copertura adeguata (es. quadri elettrici, cucinini di reparto, ect.).
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In questa fase è necessario identificare i fattori di pericolo, come materiali, sostanze, macchine,
organizzazione del lavoro, carenze di manutenzione ecc., che possono causare un pericolo.
Tali fattori possono essere suddivisi secondo le seguenti tre tipologie:
Materiali e sostanze combustibili o infiammabili quali:
x grandi quantitativi di materiali cartacei;
x materie plastiche e derivati dalla lavorazione del petrolio;
x liquidi e vapori infiammabili;
x gas infiammabili;
x polveri infiammabili;
x sostanze esplodenti;
x prodotti chimici infiammabili in combinazione con altre sostanze che possono essere presenti ecc..
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In seguito all'accensione di materiali contenuti in uno spazio chiuso (una stanza, un capannone, ect.), l'incendio - nella sua prima fase, quando è ancora di limitate dimensioni - si comporta come se fosse all'aperto.
Se sussistono le condizioni per una sua propagazione (sufficiente materiale combustibile, sufficiente aria) raggiungerà uno stadio in cui il confinamento inizierà ad influenzarne il comportamento.
I principali parametri da prendere in considerazione per caratterizzare un incendio sono:
• La temperatura massima raggiunta e la velocità di aumento della temperaturadei prodotti di combustione;
• La quantità di calore liberata e la velocità di sviluppo del calore;
• La durata, cioè il tempo necessario per raggiungere la temperatura massima dei fumi.
Il decorso dell'incendio può allora essere descritto in termini di variazione della temperatura media dei prodotti di combustione entro il volume occupato in funzione del tempo.
a) Stadio di sviluppo o "pre - flashover" (prevampata) in cui la temperatura media dei gas
è bassa e l'incendio è localizzato in prossimità della sua origine.
b) Stadio di completo sviluppo o di "vampata" ("flashover") in cui tutti i materiali
combustibili nel volume sono coinvolti.
c) Stadio di decadimento, che solitamente indica il tempo necessario perché la temperatura dei fumi diminuisca dell'80% rispetto al valore massimo.
Antinfortunistica ROBERTI Blog: Porta Estintori: soluzioni ...
antinfortunisticaroberti.blogspot.com/2010/09/porta-estintori.html
Allo scopo quindi di abbellire questi elementi o almeno la loro collocazione ecco una serie di Porta Estintori più esteticamente gradevoli e ...
Antinfortunistica ROBERTI Blog: Norma UNI 9994-1:2013 ...
antinfortunisticaroberti.blogspot.com/.../norma-uni-9994-12013
Estintori Fuori Servizio nella UNI 9994-1:2013. Il concetto è stato inserito in modo da dar la possibilità al tecnico che interviene di mettere fuori ...
Antinfortunistica ROBERTI Blog: vie di esodo e uscite di ...
antinfortunisticaroberti.blogspot.com/.../vie-di-esodo-e-uscite
In corrispondenza ad ogni uscita di sicurezza. -. Sopra ad ogni posto di pronto soccorso. -. Sopra ad ogni estintore. -. Entro due metri vicino alle ...
martedì 9 novembre 2010
ALLARME Cadute Lavori in Quota: l' 88% non percepisce il pericolo
tratto da L'eco di Bergamo 8 Novembre 2010
Il rischio derivante dai lavori ad altezze elevate non è percepito nel modo adeguato dall'88% di coloro che svolgono l'attività. È il primo dato sconvolgente di uno studio condotto dall'Aipaa (Associazione italiana per l'anticaduta e antinfortunistica) in Italia, e che ha avuto come suo punto di partenza proprio la Bergamasca.
Non solo: sempre secondo l'associazione aderente a Confindustria-Finco, e che ha la propria sede nazionale a Bergamo, i bilanci che riguardano feriti e morti per cadute dall'alto riguardano solo quelli riferiti ai luoghi di lavoro e non includono almeno un altro 30-35% che avviene invece in ambito extra lavorativo.
«Con questi primi dati dello studio che abbiamo condotto a campione in diverse zone d'Italia, si evince che l'emergenza derivante dai lavori in quota inizia ancor prima di quando gli operatori salgono su tetti scali e ponteggi – spiega il presidente dell'Aipaa, Giuseppe Lupi –. Se quasi il 90% di chi svolge lavori in quota non percepisce che operare già a un'altezza di 2,5 metri è pericoloso per la propria vita, è evidente che si rende necessario prima di iniziare i corsi per l'uso dei dpi, delle piattaforme aeree o di trabattelli scale e imbracature, spiegare e far capire con esempi concreti cosa significa lavorare in quota».
Il rischio derivante dai lavori ad altezze elevate non è percepito nel modo adeguato dall'88% di coloro che svolgono l'attività. È il primo dato sconvolgente di uno studio condotto dall'Aipaa (Associazione italiana per l'anticaduta e antinfortunistica) in Italia, e che ha avuto come suo punto di partenza proprio la Bergamasca.
Non solo: sempre secondo l'associazione aderente a Confindustria-Finco, e che ha la propria sede nazionale a Bergamo, i bilanci che riguardano feriti e morti per cadute dall'alto riguardano solo quelli riferiti ai luoghi di lavoro e non includono almeno un altro 30-35% che avviene invece in ambito extra lavorativo.
«Con questi primi dati dello studio che abbiamo condotto a campione in diverse zone d'Italia, si evince che l'emergenza derivante dai lavori in quota inizia ancor prima di quando gli operatori salgono su tetti scali e ponteggi – spiega il presidente dell'Aipaa, Giuseppe Lupi –. Se quasi il 90% di chi svolge lavori in quota non percepisce che operare già a un'altezza di 2,5 metri è pericoloso per la propria vita, è evidente che si rende necessario prima di iniziare i corsi per l'uso dei dpi, delle piattaforme aeree o di trabattelli scale e imbracature, spiegare e far capire con esempi concreti cosa significa lavorare in quota».
mercoledì 3 novembre 2010
TAPPETI di protezione
Safety Walk Antifatica 5250E (drenante) 3M TM Safety Walk Antifatica 5250E è un tappeto antifatica costituito da filamenti continui di ricciolo vinilico con una superficie aperta. Il prodotto è resistente agli olii e all'usura ed è indicato per aree di lavoro bagnate. Il tappeto fornisce una superficie confortevole in situazioni in cui gli operatori svolgono le loro mansioni in piedi, in posizione statica o in movimento. Unica colorazione presente: Nero. Spessore 16mm. Non Personalizzabile.
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Segnaletica per CONDOMINI Divieto di SOSTA e di PARCHEGGIO
La segnaletica non deve essere compromessa da:
CATTIVA PROGETTAZIONE
NUMERO INSUFFICIENTE
UBICAZIONE IRRAZIONALE
CATTIVO STATO
CATTIVO FUNZIONAMENTO DEI MEZZI o DEI DISPOSITIVI DI SEGNALAZIONE
Per tutti coloro che usano il parcheggio condominiale come se fosse pubblico ci sono alcune novità!
L'ente proprietario della strada o dell'area come nel caso proposto, ai sensi dell'art.5 e quindi 6 o 7 e 38 del C.d.S. deve occuparsi di predisporre idonea segnaletica che si conformi ai dettami del codice, altrochè rispondere alle caratteristiche individuate da eventuali direttive emanate dal Ministero delle Infrastrutture e Trasporti.
Allo stesso tempo consente, previo accordo, se concessionario di area adibita a parcheggio e autorità territoriale (Comune o Prefetto) di regolarla secondo i criteri che più ritiene opportuno purchè la segnaletica adottata sia idonea e conforme a quella prevista dal regolamento d'esecuzione del vigente C.d.S. (ad es. può ricevuto il nulla osta predisporre dove crede i divieti di sosta purchè secondo codice).
Sicchè in forza di un cartello che vieti la sosta con pannello integrativo indicante rimozione potrà adottare semplicemente il provvedimento della rimozione. Ci sarebbe però da comprendere se anche la strada afferente all'area privata rientri nelle competenze e nella disponibilità e quindi nel "raggio d'azione" del privato.
Inoltre nulla vieta di proporre ricorso anche qualora la segnaletica in loco sia anche solo parzialmente deteriorata, venendo meno i presupposti dell'art. 38 c.7 del codice.
Se Vi interessa, ecco come regolarsi:
1) mettere il cartello di divieto di sosta con zona rimozione (rigorosamente in Scatolato RIFRANGENTE se per palo oppure Alluminio RIFRANGENTE se per parete o rete) ovviamente serigrafato;
2) in base all'articolo citato mettere un cartello (va fatto fare a richiesta) con tutti i dati di una Carrozzeria che effettua rimozione e soccorso stradale 24 su 24 h
Ad un anno di distanza...non ci sarà mai bisogno di chiamare il carro attrezzi, perchè questi cartelli faranno da deterrente alle soste selvagge.
NON acquistate MAI cartelli in PVC o Plastica,
poiché questi materiali, con la loro carica elettrostatica, attirano la polvere i soprattutto i RAGGI UV e, nell'arco di pochi mesi, rendono sbiaditi e illeggibili i cartelli; mentre l'ALLUMINIO rimane inalterato per almeno 7 o 10 anni in condizioni climatiche anche molto aggressive.
poiché questi materiali, con la loro carica elettrostatica, attirano la polvere i soprattutto i RAGGI UV e, nell'arco di pochi mesi, rendono sbiaditi e illeggibili i cartelli; mentre l'ALLUMINIO rimane inalterato per almeno 7 o 10 anni in condizioni climatiche anche molto aggressive.
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