Gli strumenti di videosorveglianza sono considerati oggi uno strumento indispensabile nell’ambito di una politica globale della sicurezza principalmente per lo loro efficacia deterrente e per la capacità di infondere una percezione di sicurezza.
Si tratta dispositivi delicati, che per il loro corretto utilizzo sul territorio impongono di trovare il corretto punto di equilibrio ed il perfetto bilanciamento tra i contrapposti interessi della sicurezza pubblica e della riservatezza della persona, diritti entrambi sempre più sentiti a livello di opinione pubblica.
Dal punto di vista normativo la videosorveglianza è un’attività lecita: lo si desume dall’art. 615 bis c.p. che punisce l’indebita acquisizione d’immagini mediante l’uso di strumenti di ripresa visiva nell’abitazione altrui o in altro luogo di privata dimora, con l’ovvia conseguenza che è consentito acquisire immagini in luogo pubblico o aperto al pubblico.
I sistemi di videosorveglianza che vengono installati da soggetti pubblici o privati hanno la finalità di contenere i fenomeni criminali, sia attraverso il meccanismo della repressione - se avviene una rapina in una zona ove sono presenti telecamere può risultare più facile attraverso questo strumento individuare i responsabili - sia attraverso quello che è il meccanismo della prevenzione sotto la forma della deterrenza.
I principi della videosorveglianza
I principi di liceità, proporzionalità, necessità e finalità
Principio di Liceità
Il trattamento di dati raccolti attraverso un sistema di videosorveglianza è possibile solo se fondato su uno dei presupposti di legalità previsti dal Codice della Privacy e deve essere effettuato nel rispetto delle prescrizioni stabilite dalla normativa in materia di protezione di dati personali, ovvero nello svolgimento di funzioni istituzionali riguardo agli enti pubblici e nel cosiddetto “bilanciamento degli interessi” per quanto riguarda soggetti privati ed enti pubblici economici. Ciò significa che l’ente pubblico per perseguire le sue finalità con la videosorveglianza è comunque soggetta a tutti gli altri adempimenti previsti dalla legge eccetto che richiedere la manifestazione del consenso da parte degli interessati. Viceversa, quando l’ente pubblico non agisce per fini istituzionali, ma ad esempio per autotutela, è soggetto alle medesime regole imposte ai privati operando nei confronti dei terzi interessati come un normale soggetto di diritto privato. Vanno inoltre rispettate tutte le altre disposizioni dettate dalle vigenti leggi penali e civili (es. interferenza illecita nella vita privata, statuto dei lavoratori, ecc.).
Principio di Necessità
Il principio di necessità afferma che il trattamento del dato non deve mai superare il limite necessario per il raggiungimento dello scopo prefisso. I sistemi di videosorveglianza possono riprendere persone identificabili solo se, per raggiungere gli scopi prefissati, non possono essere utilizzati dati anonimi.
Principio di Proporzionalità
Il principio di proporzionalità afferma che la videosorveglianza deve costituire l’estrema ratio, utilizzabile solo laddove altri sistemi quali allarmi, controlli da parte degli addetti, misure di protezione degli ingressi ecc., risultino insufficienti. Oltre a ciò dovrà essere evitata l’acquisizione di dati in aree che non sono soggette a concreto pericolo.
Principio di Finalità
In base a questo principio il titolare del trattamento può perseguire con la videosorveglianza solo finalità di sua pertinenza, esclusivamente per scopi determinati, espliciti e legittimi. Il titolare può perseguire solo finalità di sua pertinenza, cioè un privato cittadino può installare telecamere per la videosorveglianza della sua proprietà ma non per finalità di sicurezza pubblica e di prevenzione dei reati Le finalità prefisse devono essere esplicitate, cioè predeterminate e documentate in forma scritta con un atto che deve essere conservato presso il responsabile del trattamento. Devono inoltre essere designate per iscritto tutte le persone fisiche incaricate del trattamento ed autorizzate ad utilizzare gli impianti e, nei casi in cui è indispensabile per gli scopi perseguiti, a visionare le registrazioni.
Ai sensi dell’art. 4 della L. n. 300/1970 (meglio nota come Statuto dei lavoratori), il datore di lavoro intenzionato ad installare un sistema di videosorveglianza negli ambienti preposti allo svolgimento delle attività lavorative dovrà innanzitutto rispettare il divieto di controllo a distanza dell’attività lavorativa al fine di tutelare la privacy dei prestatori di lavoro. E’, quindi, vietata l’installazione di sistemi di videosorveglianza in luoghi riservati esclusivamente ai lavoratori o non destinati all’attività lavorativa come i bagni, gli spogliatoi, gli armadietti ed i luoghi ricreativi o di riunione dei lavoratori stessi perché anche laddove il datore di lavoro riuscisse a dimostrarne l’utilità delle telecamere ai fini della sicurezza, dovrebbe considerarsi comunque prevalente il diritto alla riservatezza dei lavoratori.
L’installazione di sistemi di videosorveglianza posizionati negli spogliatoi, come chiarito dal Garante per la privacy, non è vietata in assoluto essendo ammissibile nell’ipotesi in cui ci si voglia tutelare da possibili DANNI o FURTI (ad esempio in locali dove ci sono dei macchinari o dei mezzi da lavoro), ma è necessario che siano presi degli accorgimenti tecnici tali da non consentire riprese dirette delle persone che utilizzano gli spogliatoi (in considerazione del fatto che questi ultimi non sono luoghi di produzione) e, inoltre, “devono risultare parimenti inefficaci altri idonei accorgimenti quali controlli da parte di addetti, sistemi di allarme, misure di protezione degli ingressi, abilitazione agli ingressi”.
La videosorveglianza, pertanto, deve considerarsi come extrema ratio e non come soluzione primaria.
Per quanto riguarda, infine, il controllo a campione da parte del datore di lavoro negli armadietti occorre, innanzitutto, osservare che secondo l’orientamento della
prevalente giurisprudenza di merito, quando l’ispezione deve avere ad oggetto l’armadietto-ripostiglio di un lavoratore, quest’ultima possa avere luogo senza la necessità di un preventivo accordo con le rappresentanze sindacali, atteso che l’armadietto stesso non può essere ricompreso nel concetto di visita personale, costituendo uno spazio di proprietà aziendale ed avendo l’esclusiva funzione di contenere gli abiti civili dei lavoratori, durante l’orario di lavoro e non costituendo, quindi, una pertinenza della persona del lavoratore a differenza dei suoi vestiti, sia indossati sia appoggiati e a differenza anche di cartelle, sporte o contenitori d’uso sia portati al momento sia lasciati da qualche parte. Quindi, il datore di lavoro, può effettuare dei controlli negli armadietti ma non può procedere alla perquisizione di borse o contenitori personali eventualmente collocati nello stesso.
prevalente giurisprudenza di merito, quando l’ispezione deve avere ad oggetto l’armadietto-ripostiglio di un lavoratore, quest’ultima possa avere luogo senza la necessità di un preventivo accordo con le rappresentanze sindacali, atteso che l’armadietto stesso non può essere ricompreso nel concetto di visita personale, costituendo uno spazio di proprietà aziendale ed avendo l’esclusiva funzione di contenere gli abiti civili dei lavoratori, durante l’orario di lavoro e non costituendo, quindi, una pertinenza della persona del lavoratore a differenza dei suoi vestiti, sia indossati sia appoggiati e a differenza anche di cartelle, sporte o contenitori d’uso sia portati al momento sia lasciati da qualche parte. Quindi, il datore di lavoro, può effettuare dei controlli negli armadietti ma non può procedere alla perquisizione di borse o contenitori personali eventualmente collocati nello stesso.
Ministero del lavoro - FAQ - Spogliatoi e videosorveglianza (formato PDF, 16 kB).