lunedì 20 luglio 2015

CLP Rivedete la classificazione e l'etichettatura delle vostre sostanze chimiche


A partire dal 1° giugno 2015, il regolamento relativo alla classificazione, all'etichettatura e all'imballaggio (CLP) sarà la sola normativa vigente per la classificazione e l'etichettatura sia delle sostanze sia delle miscele.


Il CLP richiede alle società di classificare, etichettare e imballare le loro sostanze chimiche pericolose in modo appropriato prima d'immetterle sul mercato.


La classificazione e l'etichettatura delle sostanze chimiche pericolose si basa sul sistema globale armonizzato, approvato dalle Nazioni Unite, al fine di assicurare un elevato livello di protezione della salute e dell'ambiente, oltre al libero movimento di sostanze, miscele e articoli.


Pur essendo gli obblighi previsti dal regolamento CLP simili alla precedente legislazione dell'UE, vi sono tuttavia alcune importanti differenze.


Un elevatissimo numero di prodotti deve essere rietichettato ai fini della conformità al CLP, compresi
oggetti di consumo quali vernici o detergenti oltre che miscele industriali.


Cartelli ad hoc a partire dalle schede di sicurezza: occorre esperienza nel settore dell’etichettatura ed identificazione per proporre una gamma completa di etichette e cartelli aggiornati secondo il nuovo regolamento e una segnaletica sulla base delle specifiche esigenze del cliente. Possiamo accedere ad un vasto database di sostanze e miscele e produrre cartelli “ad hoc” a partire dalle schede di sicurezza.




Classificazione ed etichettatura di sostanze e miscele pericolose 

Con la direttiva 2014/27/UE, il Parlamento europeo e il Consiglio partono dal presupposto di armonizzare il regolamento (CE) n. 1272/2008 (il cosiddetto Regolamento CLP) con la direttiva del Consiglio 92/58/CEE (prescrizioni minime per la segnaletica di sicurezza e/o di salute sul luogo di lavoro), che contiene ancora riferimenti al precedente sistema di classificazione e di etichettatura. Con la nuova normativa 2014/27/UE la direttiva 92/58 viene modificata per allinearla al nuovo regolamento (CE) n.1272/2008 sia per le etichette dei contenitori, delle tubazioni e dei segnali più in generale.









martedì 14 luglio 2015

Emergenza ed Evacuazione: i Punti di Raccolta



Una volta redatto, il piano d’emergenza deve essere portato a conoscenza a tutti i dipendenti ed ai lavoratori delle ditte esterne in forma adeguata, in modo che sia chiaro il comportamento da tenere nelle situazioni di emergenza.

È particolarmente importante l’informazione concernente le vie di fuga e l’indicazione del punto di raccolta.

PUNTO DI RACCOLTA

È il luogo in cui, in caso di evacuazione dell’edificio, il personale deve raccogliersi.
Le caratteristiche di questa zona devono essere le seguenti:

- prossimità all’edificio evacuato ma sufficiente distanza da esso per rappresentare un luogo sicuro
- facile e sicura raggiungibilità da ogni uscita di emergenza (possibilmente senza attraversare strade aperte al traffico)
- facile raggiungibilità da parte dei mezzi di soccorso, senza però intralciare l’intervento dei soccorritori sull’edificio (è consigliabile avere un parere dai Vigili del Fuoco).

Fare possibilmente riferimento ad una planimetria dell’edificio e delle zone limitrofe.


  • ... abbandonare l’edificio seguendo le vie di fuga segnalate e le istruzioni degli addetti all’emergenza fino al punto di raccolta;
  • chiudere tutte le porte alle proprie spalle per creare una barriera alla propagazione dell’incendio; 
  • non utilizzare l’ascensore – non tornare indietro per nessun motivo – non prendere iniziative personali;
  • prestare soccorso alle persone in pericolo solo quando non esiste immediato pericolo per la propria vita; 
  • una volta raggiunto il punto di raccolta, riferire su persone mancanti all’addetto all’emergenza del proprio piano.

Le planimetrie devono contenere informazione su:

  1. percorsi di fuga 
  2. la posizione dei mezzi di spegnimento (estintori ed idranti) 
  3. la posizione del quadro elettrico principale (o dell’interruttore elettrico generale) 
  4. la posizione del punto di raccolta 
  5. la posizione dei pulsanti di allarme 
  6. Nelle planimetrie da esporre dovrà inoltre essere data l’indicazione sulla posizione di chi legge la planimetria (“Voi siete qui”) 




LA DETERMINAZIONE DEI FATTORI DI RISCHIO DI INCENDIO

E' necessario identificare i fattori di pericolo, come materiali, sostanze, macchine, organizzazione del lavoro, carenze di manutenzione ect., che possono causare un pericolo. Tali fattori possono essere suddivisi secondo le seguenti tre tipologie:

Materiali e sostanze combustibili o infiammabili quali:

x grandi quantitativi di materiali cartacei;
x materie plastiche e derivati dalla lavorazione del petrolio;
x liquidi e vapori infiammabili;
x gas infiammabili;
x polveri infiammabili;
x sostanze esplodenti;
x prodotti chimici infiammabili in combinazione con altre sostanze che possono essere presenti ecc..

Sorgenti di innesco quali:

x fiamme libere;
x scintille;
x archi elettrici;
x superfici a temperatura elevata;
x cariche elettrostatiche;
x campi elettromagnetici;
x macchine, impianti ed attrezzature obsolete o difformi dalle norme di buona tecnica ect.

Fattori trasversali quali:

x territorio ad alta sismicità;
x metodologie di lavoro non corrette;
x carenze di manutenzione di macchine ed impianti ect.
x vicinanza a siti o attività ad alto rischio d'incendio.


IDENTIFICARE LE PERSONE ESPOSTE A RISCHIO DI INCENDIO

sempre tenendo conto dell'affollamento massimo prevedibile, delle condizioni psicofisiche delle persone, e valutando se all'interno delle aree di lavoro, può esserci presenza di:

x pubblico occasionale;
x persone che non hanno familiarità con i luoghi di lavoro in genere e con le vie e le uscite di emergenza in particolare (come ad esempio i lavoratori appartenenti alle imprese di pulizia, di manutenzione, mensa ecc.);
x persone con mobilità, vista o udito menomato o limitato;
x persone incapaci di reagire prontamente in caso di emergenza;
x lavoratori la cui attività viene svolta in aree a rischio
x lavoratori i cui posti di lavoro risultano ubicati in aree isolate dal resto dei luoghi di lavoro ect.









la videosorveglianza è un’attività lecita




Gli strumenti di videosorveglianza sono considerati oggi uno strumento indispensabile nell’ambito di una politica globale della sicurezza principalmente per lo loro efficacia deterrente e per la capacità di infondere una percezione di sicurezza.

Si tratta dispositivi delicati, che per il loro corretto utilizzo sul territorio impongono di trovare il corretto punto di equilibrio ed il perfetto bilanciamento tra i contrapposti interessi della sicurezza pubblica e della riservatezza della persona, diritti entrambi sempre più sentiti a livello di opinione pubblica.

Dal punto di vista normativo la videosorveglianza è un’attività lecita: lo si desume dall’art. 615 bis c.p. che punisce l’indebita acquisizione d’immagini mediante l’uso di strumenti di ripresa visiva nell’abitazione altrui o in altro luogo di privata dimora, con l’ovvia conseguenza che è consentito acquisire immagini in luogo pubblico o aperto al pubblico. 

I sistemi di videosorveglianza che vengono installati da soggetti pubblici o privati hanno la finalità di contenere i fenomeni criminali, sia attraverso il meccanismo della repressione - se avviene una rapina in una zona ove sono presenti telecamere può risultare più facile attraverso questo strumento individuare i responsabili - sia attraverso quello che è il meccanismo della prevenzione sotto la forma della deterrenza.


I principi della videosorveglianza
I principi di liceità, proporzionalità, necessità e finalità

Principio di Liceità 
Il trattamento di dati raccolti attraverso un sistema di videosorveglianza è possibile solo se fondato su uno dei presupposti di legalità previsti dal Codice della Privacy e deve essere effettuato nel rispetto delle prescrizioni stabilite dalla normativa in materia di protezione di dati personali, ovvero nello svolgimento di funzioni istituzionali riguardo agli enti pubblici e nel cosiddetto “bilanciamento degli interessi” per quanto riguarda soggetti privati ed enti pubblici economici. Ciò significa che l’ente pubblico per perseguire le sue finalità con la videosorveglianza è comunque soggetta a tutti gli altri adempimenti previsti dalla legge eccetto che richiedere la manifestazione del consenso da parte degli interessati. Viceversa, quando l’ente pubblico non agisce per fini istituzionali, ma ad esempio per autotutela, è soggetto alle medesime regole imposte ai privati operando nei confronti dei terzi interessati come un normale soggetto di diritto privato. Vanno inoltre rispettate tutte le altre disposizioni dettate dalle vigenti leggi penali e civili (es. interferenza illecita nella vita privata, statuto dei lavoratori, ecc.). 

Principio di Necessità 
Il principio di necessità afferma che il trattamento del dato non deve mai superare il limite necessario per il raggiungimento dello scopo prefisso. I sistemi di videosorveglianza possono riprendere persone identificabili solo se, per raggiungere gli scopi prefissati, non possono essere utilizzati dati anonimi. 

Principio di Proporzionalità 
Il principio di proporzionalità afferma che la videosorveglianza deve costituire l’estrema ratio, utilizzabile solo laddove altri sistemi quali allarmi, controlli da parte degli addetti, misure di protezione degli ingressi ecc., risultino insufficienti. Oltre a ciò dovrà essere evitata l’acquisizione di dati in aree che non sono soggette a concreto pericolo.

Principio di Finalità 
In base a questo principio il titolare del trattamento può perseguire con la videosorveglianza solo finalità di sua pertinenza, esclusivamente per scopi determinati, espliciti e legittimi. Il titolare può perseguire solo finalità di sua pertinenza, cioè un privato cittadino può installare telecamere per la videosorveglianza della sua proprietà ma non per finalità di sicurezza pubblica e di prevenzione dei reati Le finalità prefisse devono essere esplicitate, cioè predeterminate e documentate in forma scritta con un atto che deve essere conservato presso il responsabile del trattamento. Devono inoltre essere designate per iscritto tutte le persone fisiche incaricate del trattamento ed autorizzate ad utilizzare gli impianti e, nei casi in cui è indispensabile per gli scopi perseguiti, a visionare le registrazioni. 

Ai sensi dell’art. 4 della L. n. 300/1970 (meglio nota come Statuto dei lavoratori), il datore di lavoro intenzionato ad installare un sistema di videosorveglianza negli ambienti preposti allo svolgimento delle attività lavorative dovrà innanzitutto rispettare il divieto di controllo a distanza dell’attività lavorativa al fine di tutelare la privacy dei prestatori di lavoro. E’, quindi, vietata l’installazione di sistemi di videosorveglianza in luoghi riservati esclusivamente ai lavoratori o non destinati all’attività lavorativa come i bagni, gli spogliatoi, gli armadietti ed i luoghi ricreativi o di riunione dei lavoratori stessi perché anche laddove il datore di lavoro riuscisse a dimostrarne l’utilità delle telecamere ai fini della sicurezza, dovrebbe considerarsi comunque prevalente il diritto alla riservatezza dei lavoratori.

L’installazione di sistemi di videosorveglianza posizionati negli spogliatoi, come chiarito dal Garante per la privacy, non è vietata in assoluto essendo ammissibile nell’ipotesi in cui ci si voglia tutelare da possibili DANNI o FURTI (ad esempio in locali dove ci sono dei macchinari o dei mezzi da lavoro), ma è necessario che siano presi degli accorgimenti tecnici tali da non consentire riprese dirette delle persone che utilizzano gli spogliatoi (in considerazione del fatto che questi ultimi non sono luoghi di produzione) e, inoltre, “devono risultare parimenti inefficaci altri idonei accorgimenti quali controlli da parte di addetti, sistemi di allarme, misure di protezione degli ingressi, abilitazione agli ingressi”.


La videosorveglianza, pertanto, deve considerarsi come extrema ratio e non come soluzione primaria.

Per quanto riguarda, infine, il controllo a campione da parte del datore di lavoro negli armadietti occorre, innanzitutto, osservare che secondo l’orientamento della
prevalente giurisprudenza di merito, quando l’ispezione deve avere ad oggetto l’armadietto-ripostiglio di un lavoratore, quest’ultima possa avere luogo senza la necessità di un preventivo accordo con le rappresentanze sindacali, atteso che l’armadietto stesso non può essere ricompreso nel concetto di visita personale, costituendo uno spazio di proprietà aziendale ed avendo l’esclusiva funzione di contenere gli abiti civili dei lavoratori, durante l’orario di lavoro e non costituendo, quindi, una pertinenza della persona del lavoratore a differenza dei suoi vestiti, sia indossati sia appoggiati e a differenza anche di cartelle, sporte o contenitori d’uso sia portati al momento sia lasciati da qualche parte. Quindi, il datore di lavoro, può effettuare dei controlli negli armadietti ma non può procedere alla perquisizione di borse o contenitori personali eventualmente collocati nello stesso.
Ministero del lavoro - FAQ - Spogliatoi e videosorveglianza (formato PDF, 16 kB).








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