domenica 17 novembre 2013

Workwear Vintage





Consumi in picchiata, acquisti fatti con il lanternino o postposti in attesa di tempi migliori. Insomma un clima oculato e rigoroso che costringe molti a ripensare e a ridimensionare abitudini e stili di vita, sia nella vita di tutti i giorno, sia nella scelta dell'abbigliamento da lavoro.

Tratto dalla serie di necessità virtù, ci viene però incontro questa ondata quanto mai opportuna, legata al workwear degli anni d'oro, piena di richiami, ispirazioni, rimandi nostalgici ai periodi di fine secolo scorso.

In fondo ci troviamo servita un’occasione quasi irripetibile. Andarcene in giro comodamente vestiti come dei workers del secolo scorso, senza perdere nulla in fatto di charme e fascino. La classe operaia va sì in paradiso...

(Sapete la storia di un marchio di abbigliamento che ha fatto di recente il suo ingresso sulla scena del workwear? Pike Brothers. Il nome era appartenuto a una piccola bottega specializzata nella confezione di abiti da lavoro in Portobello Road negli anni trenta, e proprio partendo da quel gusto e da quei capi “tosti” e funzionali, la nuova Pike Brothers ha messo in piedi la sua nuova collezione. Sapore retrò, materiali spessi, tagli essenziali, vestibilità guidata da un’abile patina vintage).

Se l'abbigliamento da indossare nel luogo di lavoro tende a essere sempre più casual, libero, legato al gusto e alle tendenze personali oltreché alle esigenze aziendali ma sempre meno ancorato al concetto di uniforme, è bene tuttavia prestare attenzione alle controindicazioni che l’ambiente di lavoro e le sue condizioni contengono.

Intanto è bene ricordare che un abito o indumento da lavoro serve almeno a tre cose:

1° PROTEGGERE (intemperie, visibilità, elettricità, abrasioni, ect.)  diventando così un DPI;
2° IDENTIFICARE azienda e ruoli, in quanto rende riconoscibile chi lo indossa come appartenente a una categoria di persone e ad una azienda;
3° VESTIRE diventando quindi espressione del gusto e dello stile.


In particolare il riconoscimento della funzione (effetto uniforme-divisa) è necessario se non indispensabile quando si opera su un fronte esposto al pubblico, ma il più delle volte è la stessa funzione di riconoscimento a contenere elementi di prevenzione e protezione.

Ecco allora che oggi, forse in memoria di un ieri dove le aziende nascevano e prosperavano, si sta ricorrendo di nuovo a capi funzionali, resistenti e relativamente poco costosi, come le tute, i giubbini e i pantaloni da lavoro, di fattura anni 60, 70, in altre parole vintage.


C’era una volta il vintage americano. Quando ancora non si chiamava così, perché non si trattava di uno stile riconosciuto. Nel decennio tra il 1920 e il 1930 la manodopera artigianale si concentrava sulla produzione di capi adatti alle nuove categorie di lavoratori che nascevano in seguito all’avvento dell’industrializzazione.


Questi capi dovevano essere funzionali, resistenti e poco costosi. E nessuno si sarebbe mai sognato di vederli sfilare sulle passerelle 80 anni dopo. Invece il working garment è diventato il pallino di molti designer e stilisti.


(Pensate che esiste una firma, un marchio, un brand: Ohfuchi, che colleziona reliquie vintage di indumenti da lavoro fin dai primi anni ’80, cosa che gli consente di elaborare il mood che lo contaddistingue, con una certa naturalezza e tradurlo nello stile dei suoi capi.

Si tratta di un marchio di abbigliamento davvero interessante per l’appassionata e approfondita ricerca. Fedele a quella tendenza di assorbire tecniche e stili, studiandoli approfonditamente fino a farli propri, fin dalla prima collezione risalente al 1993 il marchio è rimasto fedele a sé stesso proponendo un elogio del working garment nei dettagli e nelle forme, ma cercando una continua innovazione nelle tecniche di fabbricazione). 









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