Incidenti con la sega circolare
Il primo caso è relativo alla prima lavorazione del legno con sezionamento di tronchi per realizzare tavolame.
Un lavoratore sta operando con una sega circolare multilama e sta inserendo una tavola spessa circa 6 cm, lunga circa 107 cm e larga circa 35 cm che deve “essere sezionata in più listelli per la successiva costruzione di bancali in legno”. La tavola presenta “un’evidente curvatura verso l’alto” : sarebbe probabilmente andata ad urtare contro qualche elemento fisso della macchina e quindi non trascinata all’interno.
Il lavoratore quindi, “dopo avere probabilmente sollevato di qualche millimetro il basamento superiore dove sono installati i rulli pressori al fine di facilitare il passaggio della tavola, facendo uso di una tavola rinvenuta nelle vicinanze del luogo dell’incidente”, spinge la tavola con forza all’interno della macchina “appoggiandosi probabilmente con il ventre”.
All’improvviso la tavola viene “rifiutata” con violenza dalla macchina colpendo all’addome il lavoratore che cade al suolo e, successivamente in ospedale, muore.
Benché l’infortunato avesse grande esperienza (aveva lavorato in segheria per circa 39 anni) si rilevano alcuni errori procedurali.
Nella conduzione della macchina per la lavorazione del legno l’infortunato “ha operato in zona potenzialmente pericolosa per il pericolo di rigetto del pezzo ed in modo pericoloso spingendo una tavola che per la sua conformazione non veniva trascinata normalmente all'interno della macchina ed andava scartata”.
E riguardo alla macchina è da rilevare che “la zona di inserimento pezzi della multilama, nonostante la macchina sia dotata di 4 serie di nottolini antirigetto del pezzo ed antischegge, è comunque zona potenzialmente pericolosa”.
Il secondo caso è relativo ad attività di taglio di tavole mediante sega circolare per realizzo di casseforme (involucri utilizzati in edilizia generalmente associati alle opere in calcestruzzo armato).
Il lavoratore esegue il taglio di alcune tavole con una sega circolare.
Per “accelerare l’operazione di taglio” ne sovrappone tre o quattro e regola quindi la cuffia di protezione ad altezza di circa 10 cm.
Durante il taglio – “probabilmente per la presenza di un chiodo o di un nodo” - la mano destra perde la presa e viene a contatto con la lama della sega.
I fattori determinanti dell’incidente sono il taglio di tavole sovrapposte e l’uso della macchina per taglio con cuffia di protezione sollevata.
Il terzo caso è relativo ad attività di armatura di un muro di contenimento.
Un lavoratore, mentre sta completando il taglio di una tavola di legno, “per ricavare un listello di piccole dimensioni (20X30 mm per una lunghezza di 600)”, s’avvicina con la mano destra alla lama in movimento della sega circolare multilame, con indossato un guanto che s’impiglia sulla lama stessa con conseguente trascinamento della mano contro l’utensile e amputazione di due dita.
La sega circolare “era provvista di cuffia di protezione”.
In questo caso le cause dell’incidente sono il mancato uso dello spingitoio, l’avvicinamento della manoalla lama della sega circolare e l’uso di un DPI che si impiglia nella macchina.
Infine un ultimo caso relativo ad attività di falegnameria.
Il lavoratore utilizza una sega circolare per “realizzare dei cunei in legno ricavandoli da dei travetti in legno (i cunei da realizzare misuravano 7,5 x 7,5 x 15 cm)”.
Dopo aver realizzato 5/6 pezzi si infortuna “urtando con la mano destra contro la lama in rotazione”. La sega era priva di cuffia di protezione.
Incidenti con la pialla a filo e la troncatrice
Il primo caso è relativo ad attività di preparazione di campionature di pavimenti in legno.
Un lavoratore è incaricato di spianare dei campioni di piccole tavole con una vecchia pialla a filo priva di protezione.
In seguito al rifiuto di uno dei pezzi, la mano destra che fa avanzare la tavola, va a finire a contatto con l’utensile in rotazione.
Le indagini successive hanno portato alla luce che non c’era a disposizione l’idoneo attrezzospingipezzo e che, come già indicato, la pialla a filo era priva di protezioni fisse regolabili.
Inoltre “l’infortunato non era formato sull’utilizzo corretto della macchina che adoperava raramente”.
Il secondo caso è relativo ad attività di produzione di mobili e serramenti su misura.
In una ditta, composta da tre soci, con attività di falegnameria, uno dei soci deve piallare un “listello in rovere lungo 80 cm e dello spessore di circa 3,5 per 1,5 cm”, utilizzando una pialla a filo.
Per farlo il lavoratore lascia scoperta una parte dell’utensile per far passare il pezzo che tiene con le mani. Mentre esegue questa operazione, a causa del rifiuto del pezzo per un nodo, il pezzo gli sfugge dalle mani e lo porta ad urtare con le dita la lama dell’utensile. La conseguenza è l’amputazione delle falangi distali del 3°, 4° e 5° dito e la sub-amputazione della terza falange del 2° dito della mano destra.
Al di là della presenza di nodi nel listello di rovere, si evidenzia il comportamento errato: l’uso della pialla senza regolare adeguatamente la protezione. Comportamento errato dovuto ad una mancanza di adeguata formazione/informazione.
Il terzo caso è invece relativo all’uso di una troncatrice in attività di sezionatura tavolame eassemblaggio di pallets e contenitori per imballaggi mediante chiodatura/aggraffatura.
Un lavoratore sezionando una tavola con la troncatrice del tipo con lama a scomparsa, viene a contatto con l’utensile e si procura il taglio del quinto dito della mano destra.
Le indagini hanno riscontrato la presenza di una troncatrice per legno con protezioni inadeguate.
Infine il quarto caso è relativo all’attività di una falegnameria con produzione e posa in opera di serramenti.
Un lavoratore durante il prelievo di un listello in legno, precedentemente tagliato a misura con sega troncatrice, si ferisce alla mano a seguito della caduta della “testa” della troncatrice.
La “molla antagonista di ritorno al punto morto superiore (PMS) della testa della troncatrice era rotta da oltre 20 giorni”.
Incidenti con la fresatrice (toupie)
Il primo caso è relativo ad attività del laboratorio di falegnameria di un cantiere navale per manutenzione delle unità navali.
Un lavoratore, con l’aiuto di un collega, deve effettuare la “fresatura di pezzi particolari in polietilene a forma di listelli lunghi destinati a costituire delle strisce antiscivolamento sui natanti e pontoni. Il lavoro era stato commissionato da un operatore del reparto facente le funzioni del capo squadra, quel giorno a casa per malattia”.
La lavorazione viene svolta con una “fresatrice (toupie), in cui era stato montato un utensile specifico adatto alla lavorazione dei listelli di polietilene sulla cui superficie si dovevano ricavare delle scanalature longitudinali con la funzione di renderle antisdrucciolo”.
Viene regolata la posizione in altezza dell’utensile (fresa) e quella in orizzontale delle guide in modo da ottenere la posizione e la profondità di taglio delle scanalature nel modo voluto.
Tuttavia con quel tipo di utensile in lavorazione non è possibile posizionare la protezione di cui è dotata la macchina per evitare il contatto con l’organo lavoratore (fresa) da parte degli operatori”, operatori che - in questo caso – comunque non ne conoscono il “corretto utilizzo”.
I due operatori lavorano nel seguente modo: il primo tiene pressato contro la guida, con entrambi le mani, il tratto di listello in lavorazione sulla fresa, mentre contemporaneamente il secondo tiene “in guida” il tratto di pezzo lavorato per evitare che vibri date le notevoli dimensioni longitudinali. Durante la lavorazione si verificava un effetto “rifiuto del pezzo” per cui la mano sinistra di uno dei due lavoratori, tenuta in pressione sul pezzo, entra in contatto con la lama della fresa.
“La possibilità che si potesse verificare il rifiuto del pezzo era abbastanza probabile trattandosi di un materiale particolarmente duro”. E l’incidente avviene per la presenza di una fresa verticale con protezioni inadeguate, per una procedura errata (spingere “con forza il pezzo in lavorazione contro la fresa non protetta”) e per una evidente carenza di formazione e addestramento.
Il secondo caso è relativo ad attività di costruzione di infissi, porte e finestre in legno, con l’uso di macchine utensili.
Un lavoratore, con 15 anni di esperienza lavorativa in qualità di falegname, effettua una lavorazione alla toupie, per ricavare una scanalatura su un listello in legno di pino.
La scanalatura non deve coprire l’intera lunghezza del listello, ma deve risultare più corta, del tipo chiamata in gergo “fresatura non passante”. Questa è una delle “lavorazioni più rischiose” che si possono effettuare alla toupie, poiché il fenomeno del “rifiuto del pezzo” può verificarsi con una “probabilità molto più elevata che non per altre lavorazioni”.
Per eseguire questa operazione è necessario utilizzare “macchine provviste di ripari adeguati, che consentano il lavoro lasciando scoperto l’utensile per il minimo indispensabile” e l’operatore deve avere un atteggiamento “improntato alla massima professionalità ed attenzione”.
La toupie in questione è “equipaggiata con tutti i sistemi di sicurezza previsti per fresature non passanti” (provvista di cuffia per la protezione dell’utensile, di semiguide in alluminio con barrette per contornare l’utensile, di gruppo pressore munito di schermo) e l’operatore “ha avuto cura di scegliere un listello privo di nodi, di impostare sulla toupie un congruo numero di giri dell’albero portafresa e di porre attenzione durante la fase di fresatura vera e propria”. Tuttavia per effettuare il lavoro non utilizza il gruppo pressore munito di schermo, “a suo dire per controllare con più facilità l’esecuzione del lavoro”.
Si sente sicuro della sua scelta ed è certo, per come ha impostato il lavoro, che non si verifichi un rifiuto del pezzo.
Tuttavia l’evento si verifica e l’infortunato va con le dita della mano sinistra contro la fresa in rotazione.
Dunque un incidente non “riconducibile a carenze di tipo antinfortunistico imputabili alla macchina, ma ad un’operazione errata, dovuta ad una sottovalutazione del rischio dello stesso operatore”.
Concludiamo con due brevissimi casi.
In un attività di lavorazione del legno, mentre un operatore lavora con una macchina toupie, si stacca dalla fresa una lama che proiettata all'esterno lo colpisce al collo “causando la recisione della carotide”.
La lavorazione avviene dopo la sostituzione delle lame della fresa e la rimozione delle protezioni.
In un attività di restauro mobili un lavoratore esegue la “scanalatura su un lato di una cornice in legno di ciliegio lunga circa due metri e larga 8 centimetri con una toupie priva di cuffia di protezione”.
Nello spingere il pezzo direttamente con le mani, questo viene agganciato e proiettato via e la mano sinistra viene in contatto con la lama che amputa le falangi del 2, 3 e 4 dito.
Dunque un caso di fresatura senza cuffia di protezione e senza l’utilizzo dello spingipezzo.
Perché in alcuni settori gli operatori pur provando spesso altri capi ritornano poi a scegliere e comprare una tipologia (piuttosto che altre se pur pluriaccessoriate)? Una risposta condivisa è che si accorgono che alcuni capi sono stati proprio progettati per una specifica funzione e quindi a livello operativo sono proprio comodi per quella funzione più di altri (che magari vantano più tasche, più accessori, più dettagli - che però non servono e anzi magari risultano "impiglianti").
Ecco allora il successo presso le aziende di FALEGNAMERIA di questa linea che sia per il colore che per il modello risulta "preferita" al punto tale da far tornare a sceglierla in più di un contesto.
GIUBBETTO
PANTALONI